LA VITTORIA DI BARDI IN BASILICATA

Il «campo largo» del Cd
fa impazzire la sinistra

Nelle Elezioni regionali in Basilicata Vito Bardi è confermato Presidente. La coalizione di Centrodestra allargata ad azione ed Italia Viva batte nettamente le sinistre unite.

 

L’ultimo «renitente alla leva» è stato Carlo Calenda. Che nelle Regionali in Basilicata non solo non si è unito alla coalizione di centrosinistra ma addirittura ha sostenuto quella di Centrodestra. Portandosi a casa il 7,5 per cento dei voti.

Il 'campo largo' del Centrodestra con il sostegno a Vito Bardi di Azione ed Italia Viva manda in bestia le sinistre unite uscite sonoramente sconfitte dalle urne.Esito finale: Vito Bardi, il candidato di Forza Italia & C., ha vinto largamente con il 56,6 % dei suffragi, mentre quello del Pd e soci, Piero Marrese, si è fermato al 42,1%. Qui tutti i risultati.

Gli sconfitti l’hanno presa male. E invece di ragionare sui motivi prettamente politici dell’ennesima batosta si sono messi ad almanaccare, pallottoliere alla mano, su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.

Eh – hanno eccepito con toni dolenti e quasi scandalizzati – se Calenda non si fosse schierato con gli avversari, alleandosi invece con noi, allora avremmo vinto. Che diamine: se i suoi voti si fossero uniti ai nostri la situazione si sarebbe ribaltata. O giù di là.

Ma che logica è? A prima vista verrebbe solo da riderci su. Con quel miscuglio di scherno e compatimento che suscitano gli abituali contorcimenti dialettici, o ragionieristici, di chi esce battuto dalle urne.

Ognuno a richiamare qualsiasi dato che si presti, stiracchiandolo a dovere, ad avallare la propria autoassoluzione: okay, non è andata bene ma altrove era andata peggio; sì, abbiamo perso ma meno del previsto; beh, l’esito non è quello che speravamo ma la strada (va’ a capire il perché) è quella giusta.

Tutto qui, allora? La solita fuffa degli «onorevoli» imbonitori che hanno mancato il bersaglio e si arrampicano sugli specchi?

No, in questo caso c’è dell’altro. E riguarda innanzitutto il Pd. Nonché i suoi tanti e fervorosi sostenitori nel mondo mediatico e (sic) intellettuale.

«Noi sì, che siamo il Bene»

Il vizio è antico. Al punto che lo si potrebbe definire genetico. Una tara che è nata molto tempo fa, sull’onda della lotta di classe di stampo marxista: poiché si difendono i poveri e gli oppressi – il mitologico proletariato dell’Ottocento – si assume il ruolo dei giustizieri. Ossia dei buoni.

La conseguenza, benché arbitraria, è automatica. Gli avversari sono i cattivi. Per citare un solo esempio, recentissimo, l’ultimo libro di Paolo Berizzi (a Repubblica da oltre vent’anni) si intitola «Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia».

Il resto viene da sé. La normale contrapposizione politica, che scaturisce da convinzioni diverse ma altrettanto legittime, si trasforma in uno scontro di carattere morale. E pazienza se, nel frattempo, delle posizioni originarie non è rimasto più nulla.

Già: in campo economico ci si è convertiti al libero mercato e alle sue pressioni sempre più speculative, ma quello slancio etico si è trasferito nell’ambito dei cosiddetti «diritti civili». Tutti rotelline dell’ingranaggio capitalista, però con il massimo di libertà in ciò che resta della vita personale e, in particolare, nella sfera sessuale. Omologati di giorno, Lgbtq+ di notte. O magari il contrario, in base ai turni di lavoro.

A sinistra, e più che mai nel Pd e tra quelli che lo fiancheggiano, la posizione è questa. E posizione fa rima con presunzione. E la presunzione li rende ottenebrati, anche riguardo alle coalizioni con gli altri partiti.

Elementare, no?

Poiché gli avversari sono il Male, unirsi contro di loro è un dovere. Al quale nessuna persona dabbene, nessun politico e nessun cittadino sinceramente democratico, ha il diritto di sottrarsi.

La coalizione – guidata dal Pd, si intende – si erge al rango di «Santa Alleanza». Sia pure laica, ci mancherebbe.

Era accaduto con Berlusconi, troppo ricco e troppo spregiudicato, e si sta ripetendo con Giorgia Meloni, troppo popolare e (orrore!) non abbastanza antifascista.

Una visione tanto manichea quanto auto indulgente. Ma soprattutto falsa. Di una falsità che rende ottusi, sia che la si propugni in buona fede, sia che la si sbandieri per un cinico tornaconto.

La verità è tutt’altra. E non è difficile da riconoscere, per chiunque non sia prigioniero di questa illusoria/simulata superiorità morale.

La verità è che nel mondo post ideologico di oggi le alleanze dipendono da moltissimi e mutevoli fattori. Tanto più nelle elezioni locali in cui l’orizzonte è assai di più quello dell’amministrazione che non delle grandi scelte legislative.

Vero: spesso quei fattori non sono tutti di alto profilo e non di rado, al contrario, poggiano su interessi specifici e nemmeno limpidi. Ma è una commistione che in un modo o nell’altro, con un’ipocrisia o con un’altra, è praticata ad ampio raggio. Ossia non solo, come vorrebbe la spocchia progressista, nel campo nemico. Quello dell’odiatissimo Centrodestra.

Gerardo Valentini

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