EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO

Le forzature di Bonaccini
sulle tematiche del fine vita

La Regione Emilia-Romagna tenta di bypassare il Governo sulle tematiche del fine vita, varando un originale percorso di aiuto al suicidio assistito.

 

Il Governo impugna due delibere della Giunta dell’Emilia-Romagna che intendono colmare il vuoto normativo sul fine vita ritenendo di interpretare così la volontà della Corte Costituzionale con la nota sentenza 242/2019 intervenuta nel termine stabilito da quella interlocutoria n. 207/2018.

I provvedimenti sul fine vita vari dalla Regione Emilia-Romagna vanno ben oltre quanto suggerito dalla Corte di CassazioneIl Governatore Stefano Bonaccini, sfidante alle primarie del Partito Democratico, assieme all’attuale Segretaria Schlein parla di intervento ideologico sul tema, che evidentemente si presta allo scopo.

Tuttavia tale accusa può facilmente ritorcersi contro gli estensori degli atti amministrativi regionali impugnati.

Se il ricorso al Tar è il riflesso del provvedimento disposto dalla Regione Emilia-Romagna, i semi ideologici possono ben ritrovarsi nell’atto originario e, il ricorso del Governo, presentarsi come semplice reazione a quello.

I provvedimenti della Regione Emilia-Romagna

La Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna ha istituito un originale percorso di aiuto al suicidio, che ha visto la nascita di due organismi, il Comitato per l’etica nella clinica (Corec), e una Commissione di Area Vasta con il compito di monitorare, in un tempo contingentato, la determinazione al suicidio della persona, le condizioni cliniche in cui versa e l’esclusione consapevole delle alternative praticabili nel trattamento della patologia.

Proprio l’istituzione di tali organi sarebbe, di fatto, discorde con la sentenza della Corte costituzionale richiamata, in cui, si auspica «l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Nelle more dell’intervento del legislatore, tale compito è affidato ai comitati etici territorialmente competenti».

L’interpretazione difforme su questo punto ha portato la Giunta a pensare di poter istituire nuovi e originali organismi territoriali, mentre il parere del Governo è che tali comitati territorialmente competenti possano essere individuati solamente nei Comitati Etici richiamati espressamente dalla sentenza, e riorganizzati nel 2023 dal Ministero con i decreti attuativi della Legge Lorenzin (Dl. 158/2012).

Ciò anche per garantire l’uniforme applicazione delle tutele essenziali sul territorio nazionale e vertendo l’indagine anche su profili di capacità di agire di rango civilistico e costituzionale.

Ci sarebbe poi la riserva di legge di cui al comma 2 dell’art. 97 della costituzione che non permetterebbe iniziative amministrative su base regionale: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Si noti peraltro il richiamo all’imparzialità, principio espresso anche dalla citata sentenza.

Le radici politiche della contesa

I temi eticamente sensibili sono diventati un nuovo vessillo politico, ultimamente. La strategia deriva direttamente dalla campagna elettorale americana in cui il tema dell’aborto è stato messo in correlazione con le elezioni presidenziali da parte degli esponenti del partito democratico.

Influenzati dalla medesima strategia, sembra che l’internazionale di sinistra abbia cercato di far convergere le forze politiche territoriali su questo tipo di temi.

Quanto accaduto in Francia o al Consiglio Ue sul tema dell’aborto, fa presumere che le scelte regionali sui temi sensibili non siano prive di un collegamento.

Non è una novità, molto spesso si è cercato di strumentalizzare le Amministrazioni per sollecitare o, meglio, scavalcare, il necessario dibattito legislativo.

Se infatti l’indecisione della politica riflette l’eterogenea composizione della società italiana con le sue diverse componenti, in maniera nemmeno equivalente, avendo sicuramente più rappresentanza, normalmente, una posizione resistente rispetto a innovazioni etiche, si cercano altre vie per attuare un’agenda in cui difficilmente si coglie il bene comune.

Ciò si palesa se solo si considerano gli attori di tali strategie, peraltro le stesse parti processuali che hanno portato all’intervento della Consulta, la cui rappresentanza non è solo minoritaria, ma ininfluente nella società, seppur di evidente lobby istituzionale.

In questo quadro, pertanto, non sembra escludersi che quanto deliberato dalla Giunta dell’Emilia-Romagna, pur se difficilmente in linea con i caratteri di garanzia richiesti, sia un ulteriore tentativo di forzare la mano al legislatore, tecnica politica che evidentemente ha pagato, in passato.

La medesima volontà, d’altronde, sembra emergere dal fronte giudiziario, se la sentenza di cui in premessa è intervenuta dopo aver dato l’ultimatum alla politica per intervenire in prima persona, dettandone i tempi, se non i contenuti.

Prevalendo, quindi, quest’ottica suppletiva, non è escluso che il Tar consideri l’intervento regionale legittimo.

Una questione complessa

La sentenza della Corte costituzionale, posta a base degli interventi successivi, tuttavia, non aderisce all’impostazione del giudice remittente che poneva il diritto all’autodeterminazione in un rango più elevato rispetto a quello della vita, anzi esplicita ancora che «il diritto alla vita è presupposto per l’esercizio di tutti gli altri», dall’art. 2 Cost., nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 Cedu, da cui discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo.

I criteri ripresi dalla Corte costituzionale, infatti, derivano dalla possibilità già offerta dalla legge sul consenso informato (Legge 22 dicembre 2017, n.219) che prevede un rifiuto di alcuni sostegni vitali.

È il passaggio dall’eutanasia omissiva a quella commissiva del medico e quindi con la collaborazione attiva dello Stato. Ovviamente, il riconoscimento di tale progresso non è senza conseguenze nella logica assistenziale pubblica, basti vedere l’impatto che hanno avuto le Dat sulla pianificazione per le cure intensive in caso di sproporzione tra le necessità assistenziali e le risorse disponibili, ad esempio in caso di pandemia.

Il tema è sicuramente complesso, da un lato la volontà di non voler accrescere le sofferenze di malati gravi, dall’altro il voler evitare che l’aiuto istituzionale al suicidio rafforzi culturalmente e socialmente la scelta di porre fine alla propria vita.

Se però il malato rifiuta l’alternativa delle cure palliative e della sedazione profonda, non è certamente la sofferenza fisica il motore della determinazione a morire, ma lo può essere la mancanza di significato che si riscontra nella propria vita, come se la condizione di malattia patologica privasse della dignità il paziente.

L’indifferenza verso la vita è anche disinteresse verso la collettività, come se tutto ciò che accadesse nel mondo non avesse più alcun senso.

La perdita di riferimenti della nostra società gioca sicuramente un ruolo nell’abbandono sociale che sperimentano tanti malati, vittime, in primis, di una solitudine istituzionale.

Il coinvolgimento attivo delle istituzioni nelle pratiche di suicidio — al punto che la stessa Regione Emilia-Romagna parla di Suicidio medicalmente assistito (Sma) —, si porrebbe quindi come una solidarietà falsificata che velocizza l’espulsione dei soggetti che ha già relegato ai margini.

Tra il serio e il faceto

Quando ho sentito la notizia del tifoso romanista che chiedeva l’Europa League alla sua squadra prima di procedere al suicidio assistito in Svizzera, al di là dello scherzo di cattivo gusto ammesso dal protagonista, ho pensato che fosse un modo per spronare la squadra, si sa i tifosi romanisti sono creativi e originali nel loro sostegno.

Peraltro, è un tema sensibile per ogni tifoso capitolino considerando la storia della bandiera Agostino Di Bartolomei (e quanto avvenuto il 30 maggio 1994), raffigurato anche in Tribuna Tevere durante l’ultimo derby nella sua posa iconica mentre tira la bomba, con una coreografia inquadrata misticamente da un ovale di sole.

La reazione del mister Daniele De Rossi che ha reagito investito della missione di vincere anche per questo tifoso, mi ha fatto pensare come anche una cosa futile rispetto al tema di cui si tratta, possa donare un senso ad un’esistenza.

Sentirsi, come tifosi, immersi in un destino comune, scandito dalle tappe di un percorso che sicuramente risente delle vittorie e delle sconfitte, ma che non ne è condizionato da queste, è la metafora di una vita intesa come passione, in cui c’è, sempre, qualcosa da scoprire, da sentire, qualcosa in serbo per ognuno.

Magari, chi, lo sa, proprio il calcio, tra le altre cose, può aiutare ad uscire dal proprio baratro.

Armando Mantuano *avvocato

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